Migliaia di manifestanti sono tornati a invadere le strade principali di Hong Kong per protestare contro il disegno di legge che autorizza l’estradizione verso la Cina. La prospettiva che sia giuridicamente possibile tornare a rispondere alla giustizia dell’ex Grande Madre Gialla ha gettato nel caos la società della regione speciale cinese, da tempo protetta da leggi che ne mettevano al sicuro i cittadini in quanto a dipendenza dall’autorità di Pechino.
Estradizione in Cina
I manifestanti hanno comunque occupato i principali incroci dell’aera metropolitana, paralizzando la circolazione e seguendo gli stessi protocolli operativi del 2014, quando l’allora movimento “Occupy” tenne pacificamente sotto scacco la polizia per 76 giorni sul tema del suffragio universale. Stavolta la posta in gioco è, se possibile ancora più alta. Se infatti quello del suffragio universale era tema etico assoluto, quello dell’estradizione in Cina, per una comunità che ospita dissidenti di caratura mondiale contro le politiche di Pechino, è tema di sopravvivenza vera.
I fautori delle proteste infatti non credono al “rabbonimento” di Pechino in senso occidentale e denunciano l’uso della tortura, della detenzione arbitraria e delle confessioni estorte in spregio alle convenzioni internazionali. Hong Kong era stata “restituita” alla Cina, con l’apertura della difficilissima strada della conciliazione fra le due diverse sensibilità sociali e politiche intraprese, nel 1997. Da allora, l’amalgama fra l’ex protettorato, poi regione amministrativa speciale e la madre patria era stato sempre più difficile.