
Narendra Modi si prende l’India, la democrazia più grande del mondo, e di fatto, come titola la BBC, l’altra faccia della terra è tutta per Narendra. L’uomo politico dal cognome anonimo perché ancora gravato dal peso dell’icona Ghandi ha infatti ottenuto una clamorosa vittoria nelle elezioni generali indiane, riuscendo a polarizzare l’impolarizzabile.
Modi sconfigge le previsioni
Modi ha sconfitto previsioni fosche che, nel paese, fondavano su una disoccupazione salita di tre punti, ad un livello record, sul crollo dei redditi agricoli (e l’India è il più grande capo coltivato del pianeta) e della produzione industriale. La vittoria di Ghandi ha anche scavalcato a pie’ pari il bastione della demonetizzazione, con la valuta a picco. Ma l’India ha parlato ed ha parlato forte: non è colpa di Modi, che aveva più volte detto che ci sarebbero voluti ben più di 5 anni per superare mezzo secolo e passa di “cattiva gestione della cosa pubblica”, calando l’affondo sulla dinastia dei Ghandi.
Un “messia borghese”
Nella popolazione indiana Modi è visto come una sorta di “messia borghese”, un uomo quasi qualunque che però è in gradi di risolvere problemi e non di far leva solo su grandi palpiti ideali di cui il paese si era nutrito nei decenni successivi all’indipendenza. Un onesto mestierante del governo insomma, che oggi si ritrova Primo ministro un po’ come secondo Soutik Bisvas della BBC – il suo omologo Usa degli anni ’80 Reagan.
Modi come Reagan
Il paragone è meno ardito di quanto non possa sembrare: Reagan arrivò a godere di una popolarità che spesso scavalcava e azzerava le sue responsabilità o le sue defaillances nella governance. In un momento di crisi economica, l’ex attore non patì la colpa di quello stato di cose e venne chiamato Grande Comunicatore perché era un presidente “teflon”, isolato cioè e al sicuro dai problemi che gli orbitavano intorno, un uomo “i cui errori non gli appartenevano mai”. Come Modi, che si è preso l’altra metà del pianeta spiazzando tutti.