La fine dello shutdown e la ripresa delle attività degli impiegati federali danno una scossa ai casi ancora aperti, primo fra tutti il fascicolo Huawei. L’Fbi è di nuovo sul campo e, libera da ogni fermo dovuto allo stop delle attività innescato dal duello Trump-Congresso, ha depositato le prove a carico del colosso cinese. Ennesima puntata del braccio di ferro planetario fra Huawei e il governo Usa.
Il colosso cinese delle comunicazioni ha diramato una nota ufficiale con cui ogni accusa di illecito a carico di esponenti del gruppo viene respinta al mittente. Tutto questo proprio nelle ore in cui la giustizia federale ha formalizzato le accuse derivate dall’episodio chiave di quella guerra: l’arresto della manager Wanzhou a dicembre in Canada.
Le accuse alla Huawei
La donna, figlia del fondatore di Huawei, era stata fermata a Vancouver su input degli organi di polizia americani per aver, presuntivamente, violato l’embargo commerciale sull’Iran intrattenendo rapporti con la tormentata e grifagna repubblica coranica. A questo episodio se ne erano aggiunti altri che avevano costituito polpa per il grosso faldone che il Dipartimento di Giustizia di Washington e la sede distrettuale di New York hanno approntato “versus” Huawei. Un tecnico della società era stato accusato di spionaggio industriale in merito ad un dispositivo hi tech messo a punto negli Usa da una società nazionale ed un altro era stato arrestato in Polonia perché, sempre a detta di un’accusa che sta fra il politico, il commerciale e il giurisprudenziale largo, avrebbe brigato con un ex 007 del luogo per sottrarre altri segreti.
La fine dello shutdown
Un casino planetario, incrementato in quanto a progressi procedurali dalla fine dello shutdown e la ripresa delle attività federali di ogni ordine, con un team dell’Fbi che aveva depositato il fascicolo Huawei presso un tribunale di Brooklyn. Recepire in cancelleria il plico e formalizzare le accuse con il primo district attorney di turno era stato un attimo.