
Topolino sta con gay e lesbiche e a Verona non ci sarebbe andato. La assoluta modernità di Mikey Mouse e della composita banda dei personaggi che caratterizzano l’universo Disney è stata certificata da un rapporto di Corporate Equality 2019 (Cei). Si tratta di una indagine nazionale che negli Usa opera sul benchmarking ed è gestita da Human Rights Campaign Foundation. In pratica l’organismo valuta politiche aziendali in materia di eguaglianza, equità e diritti sul posto di lavoro per lesbiche, gay, bisessuali, transgender e queer (LGBTQ). L’indice di applicazione di queste norme di civiltà è stato di 100 punti su cento.
La valutazione
La Walt Disney Company è in buona sostanza il posto migliore al mondo per la garanzia dei diritti sul lavoro in rapporto ad ogni forma di orientamento sessuale. La valutazione della Cei sui diritti di ogni orientamento sessuale (acronimo che un tono paradossalmente ironico, nel contesto tricolore) è rigidissima e include le tutele sul posto di lavoro, la posizione dell’azienda in seno ad eventuali questioni giudiziarie innescate da atti di discriminazione, i benefit per i partner, le prestazioni sanitarie offerte ed inclusive della fascia transgender e le pubbliche relazioni con tutte le comunità LGBTQ accreditate.
The perfect Score
Dinsey, che primeggia ormai da anni, ha raggiunto anche nella valutazione di quest’anno quello che in gergo viene chiamato “The Perfect Score”, il punteggio perfetto. L’inclusione da sempre parte fondamentale delle politiche aziendali Disney ed offre anche ampi margini di formazione interna, gruppi interni e donazioni. Memorabile il rapporto con il LGBTQ Center di Los Angeles, il più grande d’America e forse del mondo. “Siamo impegnati ormai da tempo nella creazione e nel mantenimento di un ambiente accogliente per ogni tipo di lavoratore – ha detto il vicepresidente Disney e Chief Diversity Officer Latondra Newton – e questo nostro impegno riconosciuto ci rende orgogliosi. Noi prosperiamo solo quando tutte le persone sono valutate e incentivate per quello che fanno, non per quello che sono”. Chapeau.