Prete condannato per 20 atti sessuali di prostituzione minorile sono ritenuti accertati dal giudice per l’udienza preliminare, dai giudici dell’Appello e perfino dalla Cassazione. I reati per i quali è stato processato da don Paolo Alberto Lesmo, per un cavillo tecnico, sono prescritti e dunque resteranno impuniti.
Tra il 2009 e il 2011 il parroco della chiesa di S.Marcellina ed ex decano di Milano-Baggio avrebbe più volte pagato una cifra tra i 150 e i 250 euro a un minorenne tossicodipendente per fare sesso.
Prete condannato: il ragazzo abusato ha tentato il suicidio
Parte nel 2013 l’inchiesta del pm Giovanni Polizzi. Dopo che la psicologa del giovane, alla quale si era rivolto dopo aver tentato il suicidio, raccoglie le sue confidenze. Nel racconto la storia della chat con “Alberto”. Il 16enne lo associa agli atti sessuali a pagamento con il parroco, e insegnante a scuola del fratello minore,di 48 anni.
Il sacerdote prova sminuire il racconto del giovane problematico ma il pubblico ministero indaga. Gli elementi raccolti vengono giudicati sufficienti dal gup Gennaro Mastrangelo per condannare don Paolo Alberto Lesmo a 1 anno e 10 mesi con rito abbreviato per “prostituzione minorile”. Non gli vengono concesse attenuanti generiche e sospensione condizionale della pena.
Una sentenza di colpevolezza che viene confermata anche in appello nel 2018. Il prete fa ricorso in Cassazione. Nel 2019 la Suprema Corte respinge due, responsabilità e attenuanti, dei tre motivi ma accoglie il terzo che boccia come “illogica”.
La motivazione del diniego della sospensione condizionale della pena è per “mancata resipiscenza”. Dato che nel frattempo il sacerdote è stato sospeso dal ministero e vive in una comunità di sostegno psicologico. A questo punto, sotto il profilo giuridico, si innesca un flipper che fa scattare la prescrizione. Si forma infatti “un valido rapporto di impugnazione” al momento della sua presentazione. “Quindi consente di rilevare” adesso “la prescrizione del reato” che è “maturata” l’1 luglio 2018, undici giorni dopo la sentenza d’appello emessa il 20 giugno 2018.