I vertici di Atlantia e Aspi (Autostrade per l’Italia), sapevano del rischio che il Ponte Morandi potesse crollare. E dall’analisi dei molti documenti il quadro che appare mostra che forse, anche loro sapevano che i report sullo stato del Viadotto Polcevera venivano mitigati per poter rimandare gli interventi strutturali che invece sarebbero stati necessari.
I documenti sul ponte Morandi
Lo scorso marzo, la Guardia di Finanza avrebbe sequestrato anche alcuni documenti che segnalavano il Pinte Morandi “a rischio crollo”, dal 2014 al 2016. Ma, come riporta Repubblica, nel 2017 il rischio sarebbe stato declassato a “perdita di stabilità”. In questo modo, gli interventi non sarebbero più stati necessari. Questa valutazione dei rischi non veniva visionata solo dai dirigenti tecnici, ma anche dai consigli d’amministrazione, dopo essere passati per un comitato tecnico. Sul cui ruolo, per altro, aveva già cercato di fare luce la commissone ispettiva voluta dall’allora Ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli.
I dirigenti Aspi cercarono di fare in modo che non venissero a galla responsabilità superiori, cercando di replicare quanto avvenuto per la strage del viadotto Acqualonga nel 2016. In quel caso, infatti, vennero condannati solamente i responsabili locali di Aspi.
Le reponsabilità del Met
Ma dalle carte potrebbe emergere anche un nuovo quadro per quanto riguarda le responsabilità del Ministero. Infatti, tra gli indagati ci sono anche dipendenti del Met, perchè alle sedute del CdA di Aspi partecipa sempre anche un rappresentante del Ministero stesso. Che poi dovrebbe avere il compito di riferire al Ministero.
Gli indagati all’interno del Ministero hanno avuto a che fare con la parte del progetto sul rinforzo degli stralli del Ponte solo nell’ultima fase. Per questa, si ipotizzano “ritardi nell’approvazione del progetto da parte del Comitato tecnico amministrativo del Mit (organo locale) e della direzione generale di vigilanza sulle concessioni sutostradali (Dgvca)”, scrive il Sole 24 Ore.