Nei giorni di commemorazione dei martiri di mafia e nel giorno esatto in cui fra loro emerge il ricordo di Placido Rizzotto è il Procuratore Generale di Palermo, Roberto Scarpinato, a tirare un po’ le somme della parte attiva di una lotta a Cosa Nostra che, a volte, ha peccato di precisione. In una lunga disamina pubblicata da “il Fatto Quotidiano”, il magistrato ne ha un po’ per tutti.
Le parole di Scarpinato su Cosa Nostra
“Le complesse motivazioni della campagna stragista del 1992/1993 – afferma Scarpinato – sono rimaste nella conoscenza esclusiva di un ristrettissimo numero di capi perché furono in buona misura tenute segrete sia agli esecutori materiali che alla quasi totalità degli stessi componenti della Commissione provinciale di Palermo, l’organo decisionale di vertice della mafia palermitana. A costoro furono comunicate solo le causali interne all’organizzazione, cioè la necessità di vendicarsi di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino perché artefici del maxiprocesso, e di punire i referenti politici che non avevano mantenuto la promessa di far annullare in Cassazione le condanne inflitte nel maxi. Ad alcuni fu anche detto che si voleva costringere lo Stato a trattare”.
Le riunioni
Poi l’affondo: “Nessuno dei numerosi collaboratori di giustizia della mafia palermitana, per esempio, ha mai riferito alcunché delle riunioni che nel 1991 si svolsero nelle campagne di Enna e nel corso delle quali i massimi vertici regionali della mafia discussero dell’attuazione di un complesso piano di destabilizzazione politica suggerito da entità esterne. In quelle riunioni fu anche stabilito che gli omicidi e le stragi sarebbero stati rivendicati con la sigla ‘Falange armata’, così come in effetti poi avvenne”.