Un processo arenato per mancanza di un interprete che traduca dal casertano le offese e gli improperi di un marito violento sotto processo a Belluno. Accade anche questo quando il paese dove devi amministrare la giustizia è l’Italia dei mille campanili, dei cento dialetti e dalle connotazioni linguistiche multiformi.
L’imputato
La notizia, riportata dal Gazzettino e ripresa per parte campana dal Mattino, riguarda un delicatissimo processo incardinatosi e finito in panne davanti al tribunale collegiale di Belluno. Imputato è un 37enne casertano che deve rispondere delle accuse di maltrattamenti e violenza carnale nei confronti della compagna.
L’assunto pare banale ma in realtà ha una polpa empirica da non sottovalutare: all’ombra delle Dolomiti trovare qualcuno che capisca il casertano stretto è un po’ come fare un dettato a scuola usando la cuneiforme dei sumeri, ergo, il processo è bloccato.
Manca il traduttore
Lo soglio, cruciale ai fini dell’accertamento della verità giudiziaria, è quello di tradurre e sbobinare 26 ore di registrazioni che contengono insulti, improperi e minacce rivolti dall’imputato alla vittima nel suo idioma di origine.
L’uovo di Colombo sarebbe stato incarnato dall’arrivo, presso la compagnia Carabinieri di Belluno, di un graduato di origini casertane. Manco a dirlo, il militare è stato subito portato in tribunale dopo una sospensione di udienza, gli si è fatto leggere il giuramento, gli si è affidato l’incarico peritale e gli si è detto, extra moenia, di mettersi di buzzo buono a tradurre la paccata di intercettazioni entro il termine proceduralmente congruo di 90 giorni.
Al milite l’arduo compito e agi avvocati della difesa praterie in punto di diritto per sollevare eccezioni d’aula: l’uomo infatti, in quanto carabiniere, è virtualmente un “soldato” della parte accusante, ameno in termini concettuali, e potrebbe incarnare una sorta di conflitto di interesse in divisa.